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sabato 19 dicembre 2020

6 - Giorgio Amoretti - La carovana dei sogni.


… ecco da che cosa dipende la nostra unicità nell’ esistere: dai sogni! Dalla volontà che uno ha di proseguirli, non lasciarli morire ma inseguirli sempre. La realizzazione, a volte, vale meno dell’ attesa stessa!” Giorgio Amoretti

Come spesso accade, quando sei alla ricerca ossessiva di qualcosa, nulla accade. Ti fermi, lasci che la corrente ti trasporti e il vento ti attraversi. Ed avviene che, mentre tutto scorre, i sensi vigili, si imbattono nelle risposte. Così, mi sono imbattuto in Giorgio Amoretti.

La storia di Amoretti e’ fatta di avventure, tante. Di principi, molti. Di aggettivi, troppi.

Padovano, Sportivo (brevetto da paracadutista, alpinista, nuotatore, aliantista), nasce a Venezia il 10 Settembre 1932. Figlio di una famiglia alto borghese, due sono gli accadimenti che segnano il suo futuro; veder morire il suo miglior amico sulla strada di scuola, durante i bombardamenti aerei sulla città; la stesura di un tema scolastico dal titolo “Propositi”. In esso Giorgio riversa tutte le speranze ed i progetti della vita a cui sta per affacciarsi:

“I miei propositi sarebbero [...] vorrei anche girare molto per poter conoscere gli usi e le genti che abitano questa terra e per farmi un concetto preciso di questo mondo. Mi piacerebbe anche volare per poter provare il fascino dell'infinito e farmi un'idea della grandezza e della bellezza del cielo. Vorrei navigare per vedere questa immensa distesa d'acqua che copre per più di metà la superficie della terra e poter vedere i suoi abitanti [...] vorrei per ultimo poter imparare a scalare le montagne e trovarmi a tu per tu con l'infinito».

I suoi “propositi” sono un po troppo aulici per il Maestro che li classifica “desideri fantastici, non propositi seri” e gli impone di rifare il compito.

Anni dopo, il 12 Giugno del 1954 a bordo di una Lambretta comincia a realizzare i propositi del suo tema. Percorre tutta l’Europa, assieme alla sorella Anna Maria, arrivando fino al circolo polare artico e rientrando il il 22 Settembre con 13.000 km alle spalle. Impara a metter mano nei posti piu’ ameni ed intimi della sua Lambretta, ne conosce ogni angolo e mugolio, meravigliato dalle fantastiche imprese che con il suo mezzo può realizzare. In solitaria poi, è la volta dell’Africa, che percorre per migliaia di chilometri fino a raggiungere il 13 Gennaio 1955, Capo di Buona Speranza in Sud Africa, attraversa i deserti del Sahara e della Nubia e compie in effetti il giro del mondo in verticale. Tra i vari racconti di persone ospitali, fiumi straripati, guadi ed animali selvaggi; un aneddoto tra i tanti quindi, lo vede protagonista del soccorso ad un viaggiatore olandese trovato ferito in pieno Sahara e che, con determinazione e forza di volontà è riuscito a portare in salvo nel piu’ vicino centro abitato.

Tornato in Italia, il 2 Febbraio 1957 realizza la traversata invernale a nuoto pinnato del Lago di Garda (50 km). Resta in acqua 23 ore e 55 minuti ore come risposta ad una ragazza che: “consideravo impensabile che una ragazza dicesse di amarmi e poi mi lasciasse solo perchè non avevo un lavoro; che insinuasse che, da uno come me, non ci si poteva certo aspettare che fosse in grado di costruire una famiglia. Tutta la mia vita rappresenta una smentita a quella calunnia, forse la piu' dolorosa di tutte”.


Nel 1958 si imbarca per l’America, raggiunge l’Alaska (sono felice, immensamente felice [...] tutto ciò che mi circonda fa parte di me), San Francisco (dove viene accolto come uno di famiglia dagli oltre 150.000 immigrati italiani), arriva in Messico e supera i 50.000 km percorsi con la sua Lambretta. Risale il continente americano, stavolta puntando sulla East Coast. Giunge a New York e da lì si imbarca per tornare in Italia.

Nel 1960 pubblica “Polvere di Continenti” edito dalla “Il Bocca Porto”, (acquistabile presso il sito: autonauti ). Un libro fatto di racconti e poesie, che si apre con uno scritto amorevole alla Mamma che foraggia i suoi “capriccetti”di ragazzo, conosce il suo scoppiare di felicità a viaggiare in solitaria sui trabiccoli a due ruote e lo conosce davvero perchè “i miei sogni, sono i suoi sogni”.

Nel 1964 incontra Lucia Morellato con la quale nel 1966 ha Fabio, suo primogenito.


Il 3 Dicembre 1967 parte per il Sahara con Lucia e Fabio che ora ha 16 mesi, un viaggio di 12.000 km durato 120 giorni, con due “Ranger” adattati e col motore della Fiat 500. Partenza ed arrivo a Tunisi con Fort Lamy, capitale del Tchad come meta. La loro attrezzatura di viaggio consiste in: 20 mt di rete in plastica (qualora le auto fossero rimaste insabbiate), 14 ruote di scorta, 2 frigoriferi a batteria, 2 depuratori per l’acqua, taniche per 200 lt di benzina e 120 lt di acqua, svariati pezzi di ricambio per le auto, una larga provvista di
 
omogeneizzati, latte in polvere e condensato per il piccolo Fabio, cibi in scatola, riso, pasta, formaggi, spezie e condimenti, pentolame, tre fornelli (due a gas, uno a benzina), una cassetta di pronto soccorso (con molti prodotti per la infezioni intestinali), attrezzatura fotografica, 2 tende, sacchi a pelo, coperte e materassini. Per circa due mesi, non arrivano piu’ aggiornamenti dal loro viaggio, tanto da far temere per la loro scomparsa ed invece sono vivi, “vivi piu’che mai”. Stupenda, a mio parere, la foto che ritrae Giorgio, nudo ed inginocchiato, mentre la sua compagna gli lava i capelli. Al rientro la loro impresa viene pubblicata su molte riviste nazionali ed internazionali, tra inserti e copertine, il piccolo Fabio diventa il “bambino che ha attraversato il Sahara”.

Nel 1968 Giorgio, apre a Padova “la Bottega delle Parole”, un laboratorio artistico dove esprime se stessi in un modo diverso. “Nella mia bottega si vendono parole, è un posto dove tutti possono incontrarsi di giorno e di notte per poter parlare. E dove con ventimila lire, possono pubblicare quello che vogliono, poesie come romanzi”.

Il 26 Giugno 1968 sulla scia dei viaggi passati, riattraversa parte del Sahara (El Golea, Algeria), ma questa volta legato ad un paracadute ascensionale, trainato da una automobile. Dalle 22.06 alle 5.32, per sette ore e ventisei minuti è tra le braccia del cielo, battendo il precedente record di Patrik Bernard con 5 ore e 45 minuti nell’Agosto 1967. La squadra che porta a compimento questa sfida,che nel finale sta per tiventare una tragedia è composta da: Giorgio Amoretti, in volo; Maurizio Peci, fotografo e regolatore da terra dell’assetto in volo di Giorgio; Rino Bicego, pilota.

Con lo stesso sistema si ripete nella città di San Francisco (dove vola tra i grattacieli e gli sguardi stupiti delle persone) ed in Alaska.

Salpa dall’Italia con la Leonardo da Vinci (transatlantico della Italia, varato il 7 dicembre 1958 nei Cantieri navali Ansaldo di Genova Sestri Ponente con il compito di sostituire la turbonave Andrea Doria, affondata nel 1956), portando con se il suo camioncino Fiat 600 “camping” e col quale raggiunge prima San Francisco, poi l’Alaska.  Per il traino del paracadute sulle impervie strade del Nord America si serve di una macchina piccola ma potente, la Coot di costruzione americana.  Anfibia, 4 ruote motrici, motore da 400cc, corpo snodato, definita “il veicolo artico”. Alla sua nuova impresa, partecipa come pilota Andy Campbell, studente dell’università di Berkeley in California. Questa auto costituisce la guida per la poi tentata travesata dell’ oceano.

Nel 1973, orgoglioso del suo essere Papà prima di Padre, diventa un casalingo: “Casalinghe, sono il vostro leader”. “Anche gli uomini dovrebbero diventare casalinghi. E un mestiere come tanti altri e lo stato dovrebbe retribuirlo”. Messaggio femminista e controcorrente, in una Italia ancorata a una tradizione fortemente sessista e patriarcale.

Ciò non significa che Giorgio si ritira a vita privata, intraprende invece una serie di battaglie per garantire alcuni diritti civili alle donne e a favore dell'ambiente.

C’è però ancora un sogno che manca al suo personale elenco: l’oceano.

Il progetto, inseguito per dieci anni, è quello di attraversare l’oceano dall’Europa fino all’America con un’automobile. Nel 1978 la sua auto-barca è pronta: un maggiolino usato, comprato di tasca ed adattato per la navigazione. Al progetto partecipano oltre ai membri della famiglia ovviamente, due suoi amici carrozzieri: Alfredo Ponza e Giovanni Marsala. Il principio di massima è “semplice”; imbottire l’auto di poliuretano espanso che difatti la fa diventare inaffondabile, (come un pezzo di sughero in mezzo al mare), la parte posteriore del maggiolino diventa la prua così da poter usufruire della rotazione di ruote e volante come timone, la “forza motrice” invece è il vento che, imbrigliato da un paracadute ascensionale a fare da vela (proporzionato al peso ed alla grandezza dell’auto), spinge l’auto in avanti. All’interno dell’abitacolo sono stati stipati 10 bidoni di plaastica estraibili e chiusi ermeticamente, all’interno viveri e acqua potabile. In caso di estrema necessità l’auto trasporta anche una zattera autogonfiabile e due distillatori solari capaci di trasformare un litro d’acqua salata al giorno in acqua potabile. Il viaggio prevede una prima tappa alle Canarie e poi la partenza definitiva per l’America con un tempo massimo previsto di sei mesi.

Purtroppo però il suo sogno s’infrange davanti ad una nave delle autorità marittime spagnole che lo fermano e difatti gli impediscono di portare a compimento la sua impresa. Così come accade dieci anni dopo, dove sono le autorità inglesi a bloccarlo mentre, dopo aver navigato fino a Calais sul Canal du Midi con una Ford Taunus, tenta di attraversare la Manica.

È il suo ultimo, grande sogno. Continua a lavorare al progetto ma è tardi; la vita gli ha dato una data di scadenza: Giorgio ha un tumore all’intestino.

Eppure quel sogno, in un certo senso, lo realizza lo stesso. Lo fanno per lui tre dei suoi figli (Fabio, Marco e Mauro) assieme ad un loro amico (Marco De Candia); il 4 maggio del 1999 prendono la Ford “Taunus” e la Volkswagen “Passat” (attrezzate per la navigazione assieme al Papà) e partono dalle isole Canarie direzione ... New York.

... mi consolavo pensando alla neve che, in quel momento, di notte, stava scendendo in Alaska. Ma nessuno mi ha mai insegnato cosa dovevo fare quando ero infelice e vedevo intorno a me solo cose brutte e cattive. Mi domandavo perché, ne domandavo il perché a tutti e mi sono accorto che [...] non lo sapevano. È stato così che ho cominciato a girare il mondo: forse, dopo tanto girare avrei trovato, chissà dove, il solito vecchietto con la barba bianca… che, consultati i suoi polverosi libroni, in segreto, nel solito castello costruito in mezzo ai boschi, avrebbe risposto ai miei perché, alle mie domande. E invece la risposta l’ho trovata nel cielo, tra le nuvole, l’ho trovata fra le montagne e nel mare, tra l’erba e nelle stelle, tra la gente e nel vento, fra gli alberi e nei deserti, tra i fiori e nel fuoco: dappertutto. Qualsiasi cosa interrogassi mi rispondeva concorde nel suo linguaggio universale”.

Giorgio Amoretti


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