“… ecco da che cosa
dipende la nostra unicità nell’ esistere: dai sogni! Dalla volontà che uno ha di
proseguirli, non lasciarli morire ma inseguirli sempre. La realizzazione, a
volte, vale meno dell’ attesa stessa!” Giorgio Amoretti
Come spesso accade, quando sei alla ricerca ossessiva di
qualcosa, nulla accade. Ti fermi, lasci che la corrente ti trasporti e il vento
ti attraversi. Ed avviene che, mentre tutto scorre, i sensi vigili, si imbattono
nelle risposte. Così, mi sono imbattuto in Giorgio Amoretti.
La storia di Amoretti e’ fatta di avventure, tante. Di
principi, molti. Di aggettivi, troppi.
Padovano, Sportivo (brevetto da paracadutista, alpinista,
nuotatore, aliantista), nasce a Venezia il 10 Settembre 1932. Figlio di una
famiglia alto borghese, due sono gli accadimenti che segnano il suo futuro; veder
morire il suo miglior amico sulla strada di scuola, durante i bombardamenti
aerei sulla città; la stesura di un tema scolastico dal titolo “Propositi”. In
esso Giorgio riversa tutte le speranze ed i progetti della vita a cui sta per
affacciarsi:
“I miei
propositi sarebbero [...] vorrei anche girare molto per poter conoscere gli usi
e le genti che abitano questa terra e per farmi un concetto preciso di questo
mondo. Mi piacerebbe anche volare per poter provare il fascino dell'infinito e
farmi un'idea della grandezza e della bellezza del cielo. Vorrei navigare per
vedere questa immensa distesa d'acqua che copre per più di metà la superficie
della terra e poter vedere i suoi abitanti [...] vorrei per ultimo poter
imparare a scalare le montagne e trovarmi a tu per tu con l'infinito».
I suoi “propositi” sono un po troppo aulici per il Maestro
che li classifica “desideri fantastici, non propositi seri” e gli impone di
rifare il compito.
Anni dopo, il 12 Giugno del 1954 a
bordo di una Lambretta comincia a realizzare i propositi del suo tema. Percorre
tutta l’Europa, assieme alla sorella Anna Maria, arrivando fino al circolo
polare artico e rientrando il il 22 Settembre con 13.000 km alle spalle. Impara
a metter mano nei posti piu’ ameni ed intimi della sua Lambretta, ne conosce ogni angolo e mugolio, meravigliato dalle fantastiche
imprese che con il suo mezzo può realizzare. In solitaria poi, è la volta
dell’Africa, che percorre per migliaia di chilometri fino a raggiungere il 13
Gennaio 1955, Capo di Buona Speranza in Sud Africa, attraversa i deserti del
Sahara e della Nubia e compie in effetti il giro del mondo in verticale. Tra i
vari racconti di persone ospitali, fiumi straripati, guadi ed animali selvaggi;
un aneddoto tra i tanti quindi, lo vede protagonista del soccorso ad un
viaggiatore olandese trovato ferito in pieno Sahara e che, con determinazione e
forza di volontà è riuscito a portare in salvo nel piu’ vicino centro abitato.
Tornato in Italia, il 2 Febbraio 1957
realizza la traversata invernale a nuoto pinnato del Lago di Garda (50 km).
Resta in acqua 23 ore e 55 minuti ore come risposta ad una ragazza che: “consideravo
impensabile che una ragazza dicesse di amarmi e poi mi lasciasse solo perchè
non avevo un lavoro; che insinuasse che, da uno come me, non ci si poteva certo
aspettare che fosse in grado di costruire una famiglia. Tutta la mia vita
rappresenta una smentita a quella calunnia, forse la piu' dolorosa di tutte”.
Nel 1958 si imbarca per l’America, raggiunge
l’Alaska (sono felice, immensamente
felice [...] tutto ciò che mi circonda fa parte di me), San Francisco (dove
viene accolto come uno di famiglia dagli oltre 150.000 immigrati italiani), arriva
in Messico e supera i 50.000 km percorsi con la sua Lambretta. Risale il
continente americano, stavolta puntando sulla East Coast. Giunge a New York e
da lì si imbarca per tornare in Italia.
Nel 1960 pubblica
“Polvere di Continenti” edito dalla “Il Bocca Porto”, (acquistabile presso il sito: autonauti ). Un libro fatto di
racconti e poesie, che si apre con uno scritto amorevole alla Mamma che foraggia
i suoi “capriccetti”di ragazzo, conosce il suo scoppiare di felicità a
viaggiare in solitaria sui trabiccoli a due ruote e lo conosce davvero perchè “i miei sogni, sono i suoi sogni”.
Nel 1964 incontra Lucia Morellato con la quale nel 1966 ha
Fabio, suo primogenito.
Il 3 Dicembre 1967 parte per il Sahara
con Lucia e Fabio che ora ha 16 mesi, un viaggio di 12.000 km durato 120
giorni, con due “Ranger” adattati e col motore della Fiat 500. Partenza ed
arrivo a Tunisi con Fort Lamy, capitale del Tchad come meta. La loro
attrezzatura di viaggio consiste in: 20 mt di rete in plastica (qualora le auto
fossero rimaste insabbiate), 14 ruote di scorta, 2 frigoriferi a batteria, 2
depuratori per l’acqua, taniche per 200 lt di benzina e 120 lt di acqua,
svariati pezzi di ricambio per le auto, una larga provvista di
omogeneizzati,
latte in polvere e condensato per il piccolo Fabio, cibi in scatola, riso,
pasta, formaggi, spezie e condimenti, pentolame, tre fornelli (due a gas, uno a
benzina), una cassetta di pronto soccorso (con molti prodotti per la infezioni
intestinali), attrezzatura fotografica, 2 tende, sacchi a pelo, coperte e
materassini. Per circa due mesi, non arrivano piu’ aggiornamenti dal loro
viaggio, tanto da far temere per la loro scomparsa ed invece sono vivi, “vivi piu’che
mai”. Stupenda, a mio parere, la foto che ritrae Giorgio, nudo ed inginocchiato, mentre la
sua compagna gli lava i capelli. Al rientro la loro impresa viene pubblicata su
molte riviste nazionali ed internazionali, tra inserti e copertine, il piccolo
Fabio diventa il “bambino che ha attraversato il Sahara”.
Nel 1968 Giorgio, apre a Padova “la Bottega delle Parole”, un
laboratorio artistico dove esprime se stessi in un modo diverso. “Nella mia bottega si vendono parole, è un
posto dove tutti possono incontrarsi di giorno e di notte per poter parlare. E
dove con ventimila lire, possono pubblicare quello che vogliono, poesie come
romanzi”.
Il 26 Giugno 1968
sulla scia dei viaggi passati, riattraversa parte del Sahara (El Golea,
Algeria), ma questa volta legato ad un paracadute ascensionale, trainato da una
automobile. Dalle 22.06 alle 5.32, per sette ore e ventisei minuti è tra le
braccia del cielo, battendo il precedente record di Patrik Bernard con 5 ore e
45 minuti nell’Agosto 1967. La squadra che porta a compimento questa sfida,che
nel finale sta per tiventare una tragedia è composta da: Giorgio Amoretti, in
volo; Maurizio Peci, fotografo e regolatore da terra dell’assetto in volo di
Giorgio; Rino Bicego, pilota.
Con lo stesso sistema si
ripete nella città di San Francisco (dove vola tra i grattacieli e gli sguardi
stupiti delle persone) ed in Alaska.
Salpa dall’Italia con la Leonardo da Vinci (transatlantico della Italia, varato il 7 dicembre 1958 nei Cantieri
navali Ansaldo di Genova Sestri Ponente con il compito di sostituire la
turbonave Andrea Doria, affondata nel 1956), portando con se il suo camioncino
Fiat 600 “camping” e col quale raggiunge prima San Francisco, poi l’Alaska. Per
il traino del paracadute sulle impervie strade del Nord America si serve di una
macchina piccola ma potente, la Coot di costruzione americana. Anfibia, 4 ruote motrici, motore da 400cc,
corpo snodato, definita “il veicolo artico”. Alla sua nuova impresa, partecipa
come pilota Andy Campbell, studente dell’università di Berkeley in California.
Questa auto costituisce la guida per la poi tentata travesata dell’ oceano.
Nel 1973, orgoglioso del suo
essere Papà prima di Padre, diventa un casalingo: “Casalinghe, sono il vostro leader”. “Anche
gli uomini dovrebbero diventare casalinghi. E un mestiere come tanti altri e lo
stato dovrebbe retribuirlo”. Messaggio femminista e controcorrente, in una Italia
ancorata a una tradizione fortemente sessista e patriarcale.
Ciò non significa che Giorgio si
ritira a vita privata, intraprende invece una serie di battaglie per garantire
alcuni diritti civili alle donne e a favore dell'ambiente.
C’è però ancora un sogno che manca
al suo personale elenco: l’oceano.
Il progetto, inseguito per dieci
anni, è quello di attraversare l’oceano dall’Europa fino all’America con un’automobile.
Nel 1978 la sua auto-barca è pronta: un maggiolino usato, comprato di tasca ed
adattato per la navigazione. Al progetto partecipano oltre ai membri della
famiglia ovviamente, due suoi amici carrozzieri: Alfredo Ponza e Giovanni
Marsala. Il principio di massima è “semplice”; imbottire l’auto di poliuretano
espanso che difatti la fa diventare inaffondabile, (come un pezzo di sughero in
mezzo al mare), la parte posteriore del maggiolino diventa la prua così da
poter usufruire della rotazione di ruote e volante come timone, la “forza
motrice” invece è il vento che, imbrigliato da un paracadute ascensionale a fare
da vela (proporzionato al peso ed alla grandezza dell’auto), spinge l’auto in
avanti. All’interno dell’abitacolo sono stati stipati 10 bidoni di plaastica
estraibili e chiusi ermeticamente, all’interno viveri e acqua potabile. In caso
di estrema necessità l’auto trasporta anche una zattera autogonfiabile e due
distillatori solari capaci di trasformare un litro d’acqua salata al giorno in
acqua potabile. Il viaggio prevede una prima tappa alle Canarie e poi la
partenza definitiva per l’America con un tempo massimo previsto di sei mesi.
Purtroppo però il suo sogno s’infrange
davanti ad una nave delle autorità marittime spagnole che lo fermano e difatti
gli impediscono di portare a compimento la sua impresa. Così come accade dieci
anni dopo, dove sono le autorità inglesi a bloccarlo mentre, dopo aver navigato
fino a Calais sul Canal du Midi con una Ford Taunus, tenta di attraversare la
Manica.
È il suo ultimo, grande sogno. Continua a lavorare al progetto
ma è tardi; la vita gli ha dato una data di scadenza: Giorgio ha un tumore
all’intestino.
Eppure quel sogno, in un certo senso, lo realizza lo stesso.
Lo fanno per lui tre dei suoi figli (Fabio, Marco e Mauro) assieme ad un loro
amico (Marco De Candia); il 4 maggio del 1999 prendono la Ford “Taunus” e la
Volkswagen “Passat” (attrezzate per la navigazione assieme al Papà) e partono dalle
isole Canarie direzione ... New York.
“... mi consolavo
pensando alla neve che, in quel momento, di notte, stava scendendo in Alaska.
Ma nessuno mi ha mai insegnato cosa dovevo fare quando ero infelice e vedevo
intorno a me solo cose brutte e cattive. Mi domandavo perché, ne domandavo il
perché a tutti e mi sono accorto che [...] non lo sapevano. È stato così che ho
cominciato a girare il mondo: forse, dopo tanto girare avrei trovato, chissà
dove, il solito vecchietto con la barba bianca… che, consultati i suoi
polverosi libroni, in segreto, nel solito castello costruito in mezzo ai
boschi, avrebbe risposto ai miei perché, alle mie domande. E invece la risposta
l’ho trovata nel cielo, tra le nuvole, l’ho trovata fra le montagne e nel mare,
tra l’erba e nelle stelle, tra la gente e nel vento, fra gli alberi e nei
deserti, tra i fiori e nel fuoco: dappertutto. Qualsiasi cosa interrogassi mi
rispondeva concorde nel suo linguaggio universale”.
Nessun commento:
Posta un commento